lunedì 22 febbraio 2010

C'era una volta un principe.

C'era una volta un principe. Ma no, questa che vi sto per raccontare non è una favola, ma una di quelle robe dell'italietta che ormai non mi stupiscono più.
Io amo Sanremo come amo tutte quelle vecchie cose di pessimo gusto che tutti conserviamo gelosamente, senza un reale motivo. Consuetudine? Tradizione? Attitudine al trash? non voglio però capire cosa si celi dietro questo mio sentimento atavico, ma analizzare brevemente i risultati della finale, partendo da un punto (?) fermo: l'Italia è il paese del bel canto. Siamo tutti d'accordo, no? Bene, questo presuppone che l'italiano medio abbia una certa predisposizione alla musica di qualità, o per lo meno che disponga del senso dell'UDITO.
Cronaca della serata di sabato: trash-canzone-trash-canzone-trash-canzone-maryJblige-trash-sipariettopolitico fino al momento clou, che vede volare volare volare sul palco gli spartiti dei professori dell'orchestra, accartocciati per lo sdegno. Si, è lo sdegno che ti prende quando non è il talento ma il personaggio a farla da padrone. La terna dei finalisti: non discuterò della presenza delle due talent-madamine e della vittoria di una delle due (che da brava Valery Valery alla corte di Francia non ha tradito stupore, ma è stata contenuta e dignitosa) ma del secondo posto che gli italiani hanno regalato al Principe al Pupo al cazzone e alle redivive sorelle bandiera.
Riflessione: la canzone è una cacata, il testo è una cacata retorica, il principe canta con la sua voce da culo. Gli italiani che hanno pur votato hanno fatto una scelta ben precisa, hanno preferito la retorica RETORICA retorica alla sostanza. Sapete, non so come concludere questo post, perciò metto su Malamorenò e, con disinvoltura, me ne fotto.

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