sabato 19 gennaio 2008

Totò cinque bellezze



Il giorno dopo la sentenza è polemica tra il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il primo, venerdì, a dare una lettura "diversa" della sentenza contro Totò vasa-vasa.

Cinque anni è quanto Cuffaro dovrà scontare per il suo coinvolgimento nella vicenda delle "talpe" alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Nella sentenza si stralcia l´imputazione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, mentre si impone al presidente della Regione la sanzione accessoria di interdizione dai pubblici uffici,che però scatterà solo a sentenza definitiva.

Tutti gli "amici" del presidente, per primo com´è ovvio l´Udc, il partito in cui milita Salvatore Cuffaro, cantano vittoria. «Siamo compiaciuti – dice il segretario del partito Lorenzo Cesa – che già dalla sentenza di primo grado sia stata esclusa ogni forma di collusione del presidente Cuffaro con la mafia». «Avevamo la certezza che Cuffaro non avesse mai favorito la mafia – dichiara Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera – e la sentenza di oggi non fa che confermare le nostre ragioni». Gongola anche Casini: «Da sempre sappiamo che Cuffaro non è colluso con la mafia. Da oggi lo ha certificato anche un tribunale della Repubblica».

Ma venerdì sera arriva il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso a frenare ogni entusiasmo e a dire la sua sulla vicenda. «Sono stati tutti condannati – ha spiegato – ed è stato riconosciuto che a Palermo esisteva una rete per informare i politici sulle indagini della procura, compresa e anche quelle sulla cattura del boss Bernardo Provenzano». E su Cuffaro precisa: «È rimasto provato il favoreggiamento da parte sua nei confronti di singoli mafiosi, ma non è stata provata l'aggravante di favoreggiamento a Cosa Nostra».

Tutta un´altra storia, insomma. Ora Totò gli risponde: «Grasso? – dice in un´intervista – Probabilmente il procuratore non ha letto la sentenza per intero. È stata studiata dai miei avvocati – rivendica – e sostiene che non solo non è stato favorito l'intero sistema mafioso ma neanche il singolo mafioso. Non ho motivo – chiude – di non credere ai miei avvocati».

Per l'accusa, Cuffaro avrebbe appreso nel 2001 dall' ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e ora condannato a 14 anni. Gli inquirenti sostenevano che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.

tratto da L'Unità

1 commento:

Almostviola ha detto...

E' addirittura peggio dell'interpretazione della sentenza definitiva su Andreotti, dove si dichiarava una prescrizione, NON una non colpevolezza.
Peccato che ormai le parole delle sentenze, quello "scripta manent" dei latini non abbiano più senso...non esistono più i fatti, ma solo le interpretazioni. A loro favore, ovviamente.
http://www.youtube.com/watch?v=F5MZmJLMQ9Y
Guarda questo...Falcone ormai non c'è più e lui si fa chiamare "Governatore della Sicilia"....